Ai fini della prevenzione dello stato di crisi, ai sensi dell’art. 3 del CCI (doveri del debitore), mentre l’imprenditore individuale deve adottare “misure idonee”, l’imprenditore collettivo deve invece “adottare un assetto organizzativo adeguato”, “misure” e “assetti”, peraltro, non meglio specificati dal legislatore del CCI.
Orbene, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi, il legislatore prevede regole diverse per l’imprenditore individuale e per l’imprenditore collettivo:
- l’adozione di misure idonee per l’imprenditore individuale: pianificazione di interventi puntuali;
- l’adozione di un assetto organizzativo adeguato per l’imprenditore collettivo: pianificazione di procedure organizzative.
Si deve pertanto ritenere che la maggiore differenza tra “misure” e “assetti” risiede nel fatto che “l’assetto organizzativo” rappresenta un dovere più strutturato rispetto alla “misure idonee” che devono essere invece adottate dall’imprenditore individuale.
Entrambi, comunque, non possono mancare di un elemento indefettibile e cioè la pianificazione, la cui mancanza diventa l’aspetto centrale del concetto di insolvenza soprattutto qualora, in assenza delle“misure” e degli “assetti” necessari per implementare l’attività prognostica della crisi (e quindi l’attività di pianificazione), l’imprenditore non sia stato in grado di intercettare i primi segnali di squilibri che hanno, successivamente, portato all’incapacità di far fronte agli impegni finanziari.
Ciò premesso, sotto un profilo meramente logico, si pongono i seguenti quesiti:
- E’ necessario estendere l’adozione degli assetti a tutte le imprese collettive e se, in alcuni casi, tale concetto possa risultare in qualche modo eccessivo o sovrabbondante?
- Nel caso dell’imprenditore individuale, è sempre sufficiente l’adozione di misure adeguate, qualunque sia la dimensione e la complessità dell’impresa stessa?
Si consideri ad esempio il caso di un imprenditore individuale manifatturiero o di un commerciante all’ingrosso che presenta un fatturato rilevante ed un organizzazione complessa (responsabile commerciale, ufficio amministrativo, responsabile ICT, ecc..) rispetto ad una società cooperativa che esercita l’attività di coltivazione del fondo ovvero ad una società in nome collettivo che esercita l’attività di autoriparazione con un fatturato tipico delle imprese minori e senza organizzazione amministrativa interna.
E’ del tutto evidente che, in queste condizioni, mentre le “misure idonee” possono risultare deficitarie per le imprese individuali di siffatte dimensioni, gli “assetti organizzativi” potrebbero invece risultare eccessivi per le imprese agricole e di servizi delle dimensioni e natura testé citate, anche se condotte in forma societaria.
Non si mette pertanto in dubbio che la complessità delle procedure e quindi la qualità degli assetti possa essere commisurata alla natura e dimensione dell’impresa collettiva o societaria, ma vi può essere più di un ragionevole dubbio che la discriminante tra “assetti” e “misure” possa essere collegabile, sic et simpliciter, alla distinzione tra imprese individuali e collettive.
Questa disquisizione su “misure” e “assetti” non è peraltro fine a se stessa, in quanto, come meglio specificato nel paragrafo successivo, il legislatore del CCI, finisce per mettere in relazione l’inadeguata implementazione degli assetti organizzativi ad una responsabilità degli amministratori che, non avendo ottemperato a tale obbligo, previsto dall’articolo 3 comma 2, non si sono attivati tempestivamente per l’intercettazione ed il superamento della crisi (1).
(1) Tale disquisizione è stata anche sviluppata durante il convegno tenuto il 25.11.2019 presso l’UniTrento in occasione del convegno “Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: passato, presente e futuro del diritto concorsuale” dal Prof. Giuseppe Ferri jr, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, durante la sua relazione avente ad oggetto “Gli assetti organizzativi e la prevenzione della crisi: le mobili frontiere della responsabilità”.